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Appendice 8 : Da L'ultimo mio comizio di G. Lunetta

 

 

 

 

 

 
 
Appendice 8 : DA "L'ULTIMO MIO COMIZIO" DI G. LUNETTA

 

 

Gaetano Lunetta partecipò al golpe Borghese: guidò uno dei gruppi, la colonna ligure, che arrivarono la sera del 7 dicembre 1970 a Roma. Lunetta, che penetrò nel Ministero dell'Interno, in un'intervista ha dato un'interpretazione tutta politica del tentativo di colpo di Stato: "Il golpe Borghese - ha detto - c'è stato davvero: con i camerati di La Spezia e della Liguria siamo stati padroni assoluti del Viminale.... Ed è anche sbagliato definirlo golpe "tentato" e poi rientrato. Il risultato politico che voleva ottenere chi aveva organizzato l'assalto è stato raggiunto: congelamento della politica di Aldo Moro, allontanamento del PCI dall'area di governo, garanzie di una totale fedeltà filo atlantica e filo americana: la verità è che il golpe c'è stato ed è riuscito".
Questo brano è tratto dal libro di memorie: G. Lunetta, L'ultimo mio comizio, llapalma, Palermo 1988.

 

[...] E così che in una vìlla, vicino Firenze, ospiti di un industriale fiorentino, una sera ci ritrovammo a gettare le basi di un piano. Erano presenti i rappresentanti di tutte le Forze Armate, ad esclusione della Guardia di Finanza, in quanto non sicura. perché era stata l'unica a schierarsi apertamente con la resistenza, ma soprattutto perché in quel corpo era stato immesso un numero consistente di "resistenti". Furono divise le competenze, gli incarichi, e ci buttammo a capofitto nell'organizzazione di quella struttura paramilitare che avrebbe dovuto affiancare le Forze Armate in caso di necessità. In una successiva riunione a Roma, presso un'agenzia di commercio film, che faceva da paravento, ci ritrovammo ad un tavolo dove, oltre a Valerio Borghese, erano presenti i capi di Stato Maggiore delle varie armi, nonché il capo della CIA a Roma, un tappeto tutto pepe e sale, per mettere a punto gli ultimi dettagli. Tornai ancora una volta a Roma e, sedutomi ad un tavolo prestabilito del bar di 1^ classe della stazione Termini, fui avvicinato da uno sconosciuto. Dopo uno scambio di parole, fui invitato a seguirlo. La macchina varcò il cancello posteriore del Ministero dell'Interno, percorse i viali e posteggiammo. Fui preso a braccetto e portato in giro, chiacchierando affabilmente. Fu un continuo incrociare di alti funzionari e generali con bande rosse sulla divisa blu ... Fra saluti e ciao a destra e a manca, visitammo le varie dipendenze: bar, barberia, corpo di guardia, deposito di armi, eccetera. Dopo avermi fatto notare il funzionamento, mediante pulsante, dei 'sali scendi" dei cancelli e la dlslocazione dei vari corpi di guardìa, entrammo nel corpo dell'edificio centrale. Al piano terra il mio

 

 

 

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accompagnatore, apriva e chiudeva porte, salutando quanti erano seduti al loro tavolo di lavoro, indicandomi telefoni, centralini e infine un pannello in marmo con una spina, staccando la quale si paralizzava ogni cosa. Salimmo al primo piano, visitando uffici, segreteria, capo di gabinetto, ufficio del ministro.

Salimmo fino alle terrazze, dove mi furono indicate le varie antenne. Scendemmo, salimmo in macchina e fui riaccompagnato alla stazione Termini, dove presi il treno per La Spezia. Facemmo ancora una calata a Roma, per studiare il percorso da far fare alle colonne di macchine provenienti dal nord su Roma. Il più tormentato si presentò per le due colonne provenienti dalla Liguria, che erano costrette a percorrere la via Aurelia sino a Civitavecchia, per poi immettersi al punto d'incontro generale, al casello di uscita di Roma nord. Il punto più cruciale fu l'attraversamento di Grosseto, con il suo passaggio a livello all'ingresso della città.

Nel frattempo, con l'aiuto di un ufficiale dei Carabinieri, avevamo portato a termine l'approvvigionamento e l’aquisto di tutto il materiale necessario, presso le varie Unioni Militari del nord, e restammo fermi in attesa della parola d'ordine che avrebbe fatto scattare l'operazione. Con questo lavoro di preparazione si era voluto evitare l'errore già commesso in Grecia, nel fare agire le Forze Armate da sole, col risultato di una dittatura militare. Il concorso, invece, di una mobilitazione di civili, senza alcuna pretesa, felici solo di servire un ideale patriottico, avrebbe permesso il rovesciamento della classe politica dirigente senza gran spargimento di sangue e senza gravi rischi per le istituzioni dello stato, evitando una guerra civile.

Si parlava di una nave greca, attraccata nel porto di Cìvitavecchia, che avrebbe dovuto ospitare i funzionari. Si diceva pure che il PCI era in condizione di mobilitare nello spazio di ventiquattr'ore una divisione di militanti, perfettamente armati, anche con un paio di carri armati. La nostra organizzazione, con l'aiuto dei servizi segreti, aveva disegnato una mappa dei punti dove erano nascoste le armi e dei nascondigli dove avrebbero fatto capo i maggiori responsabili comunisti, che erano, in quel momento, i soli in Italia a potere rovesciare ogni situazione politica, ma che, intelligentemente. capivano che avrebbero potuto resistere quarantott'ore, tempo insufficiente per l'arrivo degli aiuti da oltre confine e che pertanto, se ne stavano quieti, in attesa di tempi favorevoli, forti del loro armamento nascosto e non consegnato all'arrivo degli americani liberatori. In ogni comune del nord Italia, nostri uomini erano stati dislocati strategicamente per impedire l'attuazione del piano comunista, mentre altri civili erano pronti a, ricoprire cariche di responsabilità amministrativa. Il popolo Italiano avrebbe dovuto svegliarsi in un nuovo clima politico, apartitico, e riprendere la sua attività di lavoro, senza alcun trauma di guerra civile, perché nella nottata sarebbe stata fatta piazza pulita di tutti gli elementi pericolosi, capaci di

 

 

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creare una contromossa, che avrebbe potuto innescare la miccia di una guerra civile. Poi, nel giro di un anno, si sarebbe permessa la ricreazione dei partiti politici, ad eccezione del PCI e proceduto a nuove elezioni per ridare al popolo italiano quella vera libertà, democrazia, della quale era stato privato con l'affermazione della partitocrazia.

 

Inutile descrivere l'euforia di quei momenti, quando senti che tu, figura insignificante, sai di essere uno fra quelli che determineranno la storia di tutto un popolo. Riempimmo i bagagliai delle macchine con armi, munizioni, tute mimetiche e quanto necessario, e partimmo alla volta di Roma. La nostra colonna si ingrossava di chilometro in chilometro, sinché facemmo il pieno con l'appello. Avevo la responsabilità di tutta la colonna e mi accorsi subito di un errore commesso nel predisporre il piano. Le macchine non erano tutte di una stessa cilindrata, gli autisti non tutti erano abituati a lunghi percorsi; molti a stento avevano fatto i cento-centocinquanta chilometri in un solo percorso; quindi fu un vero problema tenerli uniti in una marcia ininterrotta di cinque, sei ore, data la limitata velocità adottata. Comunque andò tutto bene, tranne per una sola vettura, che nei pressi di Cívitavecchia proseguì sulla via Aurelia, invece di imboccare l'autostrada. Fu comunque recuperata. Sapevamo che quel giorno la polizia stradale avrebbe chiuso gli occhi; l'unico pericolo era rappresentato dalla pattuglia della Guardia di Finanza, ma in proposito avevamo ordini precisi. Vissi un momento angoscioso quando, alla testa della colonna, mi avvicinai a Grosseto, all'ultimo passaggio a livello.

A distanza, vidi che due pantere della polizia sostavano nei pressi; segnalai alla colonna di rallentare e fermai la mia macchina, aprii subito il cofano, facendo finta di un guasto al motore. Feci segnale alla macchina che mi seguiva di proseguire nella sua marcia e così feci sfilare tutte le macchine della colonna, con la speranza che nessuna fosse fermata, cosa che in realtà avvenne. Rimontammo in macchina e raggiunsi la testa della colonna. Nel frattempo avevo notato una presenza insolita di macchine della polizia, per cui decisi di fermare la colonna nel primo autogrill incontrato uscendo da Grosseto. E mentre cercavo con i miei collaboratori di capire il perché di quell'insolito movimento di polizia, vedemmo sfrecciare pattuglie di polizia a scorta di una macchina ministeriale che correva verso Roma. Riconobbi il presidente Saragat che rientrava nella capitale. Riprendemmo la nostra marcia e verso sera giungemmo a Roma, al punto d'incontro. Nel sorbire un caffè, comunicammo a tutti un numero telefonico da chiamare qualora qualcuno di noi avesse perso il contatto con le colonne che sarebbero entrate a Roma da diverse strade, per essere portato nei punti prestabiliti, in attesa di entrare in azione. Alla chetichella raggiungemmo gli obiettivi e ne prendemmo possesso. Fu più facile entrare che uscirne, come racconterò. Nell'attesa di entrare in azione, accadde qualcosa di strano. La nostra colonna era posteggiata lungo una strada romana, mentre la vita notturna si andava addormentando,

 

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quando vidi passare diverse macchine ministeriali, passaggio piuttosto insolito, data la zona dove eravamo fermi. Oggi penso che indubbiamente qualcuno stava facendo constatare la nostra presenza o stava controllando se tutto era pronto per l'operazione in corso. Il nostro quartiere generale operativo, con Valerio Borghese, era situato in uno dei cantieri in costruzione di Orlandini. I telefoni squillavano in continuazione.

Le notizie delle varie mosse in corso si accavallavano. Verso mezzanotte giunse una prima notizia dall'aeroporto di Ciampino: personalità politiche si stavano imbarcando su un aereo in partenza e si chiedevano istruzioni in merito. Secca la risposta: lasciateli partire.

Era appena trascorsa una mezz'ora, quando dal comando Nato di Napoli giungeva la segnalazione del passaggio di un aereo diretto verso il sud, forse verso Tunisi. Anche qui fu risposto che la cosa non ci riguardava. Tutto procedeva regolarmente, mentre forze forestali giravano intorno all'edificio della Rai, in attesa dell'ordine di occupazione, per inserire il disco inciso da Valerio Borghese, con l'annuncio al popolo italiano della nuova situazione politica. Altre forze giravano intorno ad un fabbricato, facendo irruzione in un alloggio, sbagliando porta, ed è cosi che il prefetto Vicari evitò l'arresto. I battaglioni mobili erano pronti, mobilitati per occupare i punti strategici della città e i vari ponti sul Tevere, quando all'improvviso giunse un ordine da tutti Inatteso : abbandonate ogni cosa, ritornate a casa. Si parlò allora di un impensabile voltafaccia di un alto ufficiale (assentatosi perché la mamma era grave o perché all'ultimo momento aveva posto una contropartita inaccettabile). Oggi, a distanza di anni, si può solo dire che indubbiamente tutta l'operazione era una dimostrazione della facilità con la quale era possibile la defenestrazione dei politici in carica, che, avendo capito l'antifona, avrebbero promesso cambiare rotta politica. Certo quella notte fu movimentata in tutta Italia. La notizia di quanto stava per accadere era in parte trapelata. Non erano passati inosservati certi spostamenti di truppe, gli stessi comunisti si erano asserragliati nelle loro federazioni, in tutta Italia. Il difficile fu per noi, che abbiamo dovuto aspettare un reparto di carabinieri, per deporre le armi.  

 

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