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Storie vecchie, vecchie storie
 

 

Era un pomeriggio plumbeo quel venerdì del 12 dicembre del 1969, ma il grigiore del tempo non aveva influito, in modo negativo, sull'umore dei cittadini che si erano recati alla Banca Nazionale per il "mercato del venerdì o per semplici operazioni di routine; gente dal modo di fare sbrigativo e di pochi convenevoli che non ama perder tempo ... e non doveva certo perdere tempo l'impiegato, dietro lo sportello, alla vista di quei visi scavati dalla fatica e di quelle mani callose.

 

L'impiegato guardò l'orologio e pensò fra sé che oramai il giorno avrebbe da lì a poco tirato le cuoia. Sarebbe salito poi sul tram, il 16, quello che va a Porta Venezia e, salutato il manovratore, si sarebbe seduto sui sedili, quelli distanti dalle ruote, così finalmente avrebbe aperto il giornale per osservare le foto dei primi passi sulla luna...

 

Quel sordo boato, alle 16,37 stroncò, insieme a quella dell'impiegato, la vita di 15 cittadini e segnò l'esistenza di altri 68. Tutti credevano che fosse esplosa una caldaia posta nei sotterranei della Banca, ma l'ordigno, invece era collocato sotto il tavolo posto al centro del salone riservato alla clientela. La resistenza opposta dal piano di cemento armato del pavimento fece sì che l'onda esplosiva finisse, con tutta la sua potenza, contro le pareti delimitanti la volta del salone mandando in frantumi le vetrate dello stabile; la potenza dell'esplosione provocò il crollo del rivestimento in mattoni forati sulla parete che delimita l'angolo posteriore del locale.

 

Si disse che gli autori della strage erano stati gli anarchici del Ponte della Ghisolfa. Si disse che era stato un mostro, un mostro che fumava marijuana e ballava il tip-tap, quel "mostro" che finì in prigione insieme ad una decina di persone.

 

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Iniziano gli interrogatori. Sono condotti con energia. Il 15 dicembre, a mezzanotte, nel cortile della questura di Milano, un corpo s'infrange quasi senza rumore ai piedi di un giornalista. Si chiamava Giuseppe Pinelli, aveva 41 anni. In questura era arrivato in motorino entrando dalla porta principale e ne uscì dalla finestra del quarto piano. Il "malore attivo" fu provocato dai "rimorsi". Alla conferenza stampa per spiegare le ragioni della tragica morte del ferroviere, il questore Marcello Guida dirà: "... di fronte ad una testimonianza si è sentito perduto". Anche il capo della DIGOS, Antonino Allegra non fu da meno: " lo credevamo incapace di violenza ed invece ". In seguito Marcello Guida non ricorderà alcuna circostanza dell'accaduto e l' "arguto" Antonino Allegra pensò bene di far esplodere la bomba alla Banca Commerciale, cancellando le possibili tracce degli attentatori.Tutta la stampa progressista parla di un delitto di Stato, prefetti e procuratori della Repubblica sono colti in manifesti tentativi di depistaggio, le trame nere vengono ignorate, gli anarchici e Valpreda vengono sepolti sotto una montagna di accuse poco e niente convincenti. Il 14 maggio del 1997, dopo ventotto anni dall'eccidio, sono arrestati tre ex ordinovisti, il quarto sarà latitante in Giappone. L'accusa è di concorso nella strage di Piazza Fontana.
Avrà sorriso, lì dove sta, la buona anima del ferroviere Giuseppe Pinelli, e avrà sorriso anche la moglie Licia, nel frattempo diventata nonna. E avranno sorriso anche i compagni di Pino, seppelliti con lui a Carrara, nelle zona del cimitero destinata agli anarchici. Per una volta la memoria non era finita nello scolo del lavandino.

 

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